domenica 8 settembre 2013

THE SOUND OF THE SILENCE

Arches National Park - UTAH (USA)
Photo by Pierperrone


Si lo so, se metto questo titolo devo cominciare con la famosa canzone di Simon & Garfunkel.
Non posso tirarmi indietro.
Certo, ho lavorato molto, prima di trovare qualcosa che andasse bene per le fotografie di questo post.
Ho cercato in tante direzioni.
Il country americano, la voce delle carovane, dei vaccari...
La voce della protesta degli anni '60 e '70, chitarre acustiche ed elettriche, percussioni e bassi...
E altro... e altro ancora...
Eppure, nessun sonoro adatto a questo post mi ha davvero soddisfatto.
Il più... potente, fra tutti quelli che avevo ascoltato ed immaginato di di poter associare alle foto, alla fine mi sembrava questo:


Le foto che voglio mostrare sono meravigliose e anche questa musica lo è.
Anzi, più delle mie fotografie, la famosa melodia di questo disco dei Pink Floyd ha qualcosa proprio della musica classica, ci si avvicina, anche se non lo è.
E conferirebbe alla serie di foto uno sfondo sonoro forte, impetuoso ma anche riflessivo e ammirevole...
Eppure non mi soddisfa pienamente.
Perchè... perchè le mie foto non sono classiche, non riecheggiano un mondo che si può definire così.
E' vero, queste foto le trovo davvero stupende.
No, non perchè siano tecnicamente migliori delle altre.
No.
La ragione è un'altra e consiste in ciò che p rimasto imprigionato in queste immagini.
Se qualcuno ha voglia di guardarle davvero con attenzione potrà restare stupito.
Qui non c'è solo qualche spicchio d'America, qualche scheggia di panorama, qualche tessera di un mosai della realtà che sta davanti all'obiettivo della camera.
No.
Qui, almeno in qualcuna delle immagini, è rimasta impigliata l'immensità della natura.
In qualcun'altra, addirittura, è restato imprigionato l'incanto del silenzio.
E' questo che mi ha riempito gli occhi, la mente ed il cuore, quando stavo per fare click con il pulsante della macchina.
L'immensità mi si parava davanti in tutta la sua maestosità.
Non c'è un'altra parola.
Non c'è parola migliore.
MA-E-STO-SI-TA'.
La si può tagliare a fette, dividere  in sillabe, spezzettare lettera per lettera...
Ogni sua singola parte resta sconfinata, illimitata, infinita.
E' questo che vuol dire I-M-M-E-N-S-I-T-A'.
Ciò che, pure polverizzato resta sempre oltre la linea di ciò che si può dire.
Questo è ciò che riguarda la dimensione visiva della Natura.
Ma c'è un'altra dimensione che la riguarda,  e che ha riguardato me, mentre mi trovavo lì, a tu per tu con quello spettacolo davanti.
La natura spirituale, interiore, immaginativa, di quella Natura.
La sua voce la si poteva udire, lì, immersi in quello spazio senza fine.
Il suo richiamo.
Il suo sono.
E cosa era, se non il silenzio, quel suono?
Il silenzio era quella voce.
La sua potenza non aveva limiti, assordava.
Tuonava come mille rombi del cielo.
Varcava ogni spazio e penetrava nelle orecchie, nella testa, nell'anima.
Era suadente.
Era nudo.
Era come l'amante che ti dona l'amore più puro.
Ecco.
E' stato questo.
Questo dono.
Questo dono che mi sento di dover ricambiare.
E come posso mai, io, paragonarmi a tanta potenza della Natura?
Con un sonoro da aggiungere al post.
La canzone del silenzio.
Silenzio americano, poi...
Ecco.
Allora.
si.
Possono andare Simon & Garfunkel.
Il loro canto è canto americano.
E' canto del silenzio.
E' profondamente sepolto nella mia memoria, tanto da farne parte come un fossile nella roccia.
Sensazioni e vibrazioni di mille ammi fa.
Si, niente, certo, a che fare con i milioni e  milioni di anni fa da cui proviene il canto della Natura.
E la sua infinita potenza.
In questo, sono stati più bravi, più abili i Pink Floyd, in questo Atom Earth Mother.
L'atomo, la madre, la terra...
Questo ha a che fare con le foto che vorrei pubblicare.
Ma il silnezio è altro.
Mi dispiace.
E' quello che devo far parlare...



E allora, alla fine, ecco le foto.
Giusto qualche indicazione per riconoscere i posti.
Il parco di Bryce è quello che presenta i pinnacoli calcarei della prima parte.
I camini delle fate.
Poi ci sono le rocce possenti di Arches Park.
Strutture architettoniche a confronto delle quali l'umo è infitesima cosa.
E la western Monument Valley, famosa vanitosa.


E, per finire, il Grand Canyon.
Che non ci ha voluto graziare con una luce molto luminosa (chissà se ha un senso, come frase), ma che era lì, immenso nella sua vastità, che si è mostrato imbronciato, piovoso, ventoso, tempestoso...
Un bimbo capriccioso....
Comunque, ecco.
Buona serata a tutti.


martedì 3 settembre 2013

SEQUOIE E DESERTO

Yosemite - photo by Pierperrone

Yosemite.
Park.
Natura.
Spazi immensi.
Foreste, montagne, valli, fiumi, laghi.
Abeti.
Soprattutto sequoie.
Alte come grattacieli.
Slanciate come colonne.
Millenarie.
Praticamente, templi al culto della grande Dea madre.

Abbiamo lasciato la città sulla costa del Pacifico, dopo qualche giorno (tre per l'esattezza), e ci siamo inoltrati verso est, in direzione dei grandi parchi.
Un programma intenso davanti.
Miglia e miglia da percorrere.
Luoghi fantastici da visitare.
Miti da toccare con la mano.
Miti personali di questa nostra generazione.
Piaccia o meno, è così.

Yosemite, allora.
Eccolo.



Ecco.
Piaciuto?
Un piccolo gioco della memoria.
Il nemico pistoluto di Bugs Bunny si chiama, no?, proprio Yosemite Sam.
Un pò così, questo barbuto perdente.
Un pò sceriffo.
Un pò sbruffone.
Un pò patetico perdente.
Tifavamo un pò anche per lui, invece che solo per il coniglio, dinanzi agli schermi.
Anche dopo.
Quando rivedere quei cartoon a fianco al figliolo ci faceva impallidire per la velocità del tempo che ci sorpassava, inesorabile.
Yosemite Sam e Bugs su youtube in italiano non li ho trovati.
Forse non ci sono, o staranno nascosti da qualche parte.
Io, comunque, li ho cercati, ieri sera.
Volevo mettere un segno della mia personale storia, una scheggia del nostro tempo.
Un richiamo traverso della mitologia americana, che attraversa la mia periferia personale pre-adolescenziale e s'incrocia anche con quella metropolitana di mio figlio/me padre.
fa strani scherzi il tempo.
Fanno strani scherzi i nomi.
Yosemite.
Un grande parco.
Un parco che la cronaca di questi ultimi giorni consegna al destino inesorabile dell'indomabile incendio.
Un segno americano (e non solo, ovviamente) che lì si manifesta sempre in tutta la sua dimensione cosmica.
L'incendio di San Francisco del 1906, che distrusse la città dopo un terremoto terribile, è rimasto nei libri di storia.
Anche le foreste di Yosemite meritano un posto così.
Da vive.
Non da morte.
I segni del fuoco, di precedenti incendi, ferite nere che non si possono più rimarginare, erano a vista già quando siamo passati in cerca di bellezza.
Adesso il fuoco è rosso come il sangue e come quello è palpitante.
Le ferite si sono aperte in emorragia.
La foresta è avvolta nel dolore.
Il nome del dolore è fuoco e fiamme.
Il fuoco è anche morte.

Il fuoco dà nome di morte anche al deserto.
La Valle della Morte è un altro mito che ho toccato in questi giorni.
La Valle del deserto dove decine di film western hanno inscenato fughe di disperati e di prepotenti.
Luoghi dove il vuoto si fa silenzio, il silenzio sole ardente, la baluginante caligine miraggio e sete e morte.
Luogo dove però restano tracce di vita.
Musica.
Cinema.
Melodie e ritmi.
Memoria.
Ancora memoria...


  


Rieccoci.
Nella Death Valley c'è Zabriskye point, dove il mito cinematografico e musicale si sono congiunti.
Pink Floyd e Michelangelo Antonioni.
Ma noi eravamo bambini, allora.
O quasi.
Io quel film non l'ho mai visto.
Neanche quella musica dei Pink Floyd ho mai ascoltato, anche se i Pink li ho sempre adorati e le loro musiche le conoscevo a menadito.
Almeno fino ad un certo momento...
Ma si è formato un altro mito con quel quel nome così esotico.
Zabriskye.
Orientaleggiante.
Ondivago.
Irradiazione di sussurri, sospiri, sibili, gutturali boccheggiamenti...
Le zeta, le kappa, le ypsilon...
Russo e americano.
Steppa e distese di sabbia...
Comunque, per documentare la storia ed il mito, il film, eccolo qua.



Ed ora ecco le altre foto.
Ho abusato della pazienza di chi è arrivato fino a questo punto.
Certamente.
Allora...
Silenzio.
Come il silenzio che c'era in quegli spazi.
Una voce potente.
L'infinito che sovrastava, rassicurando con la sua voce inudibile che parla solo a chi la sa ascoltare.
Spazio.
E sabbia.
Tempo che sgocciola in minuscoli atomi d'esistenza.
Vita che il sole calcina mescolando luce e calore.
Sassi neri.
Balze di dura roccia multicolore modellate come obbediente plastica imbelle.
Dune e colline come collane della pianura sconfinata.
Il nulla sabbioso.
Il nulla polveroso.
Il nulla roccioso.
Il nulla bollente.
Il nulla assetato.
Il  fascino del nulla infinito che si muta in mille forme e  consistenze differenti.
Colori che sbiancano e sbiadiscono come arsi da un fuoco interiore.
Una vampa che spietata arde sul mondo senza ombra.
Sprofondamenti dell'orizzonte.
Spianamento delle presuntuose alture montuose.
Ferite che si lacerano consumandosi in atomi inconsistenti...
Eppure,tutto questo lavorìo, che impegna le forze incommensurabili della natura da milioni e milioni di anni, tutto questo svolgersi senza requie nell'officina della natura, tutto questo consumarsi della materia, eppure, tutto questo accade, momento per momento, e si crogiola nel più fantastico dei silenzi.
Profondo.
Ancestrale.
Primitivo.
Nudo.
Avvolgente.
Erotico...







domenica 1 settembre 2013

SAN FRANCISCO

Photo by Pierperrone

Beh, allora eccoci.
Finalmente le foto.

La... radio-cronaca del viaggio non sono riuscito a farla.
Troppo impegnativo.
Il viaggio, intendo.
Distanze molto lunghe, tappe impegnative, tante cose da vedere.
E infine, la sera, quando le altre volte si riusciva ad avere qualche ora di respiro di cui si approfittava per caricare qualche foto e postare qualche considerazione, qualche sensazione in diretta più o meno, ecco, questa volta, invece, la sera era necessario organizzarsi per il giorno dopo.
Cercare il posto dove dormire, perchè tra un parco e l'altro c'è solo un infinito nulla che assume tante forme disparate, ma che sempre nulla rimane; leggere un pò come finziona il parco da visitare; scegliere le escursioni migliori...
Mi sono dovuto ricredere.
Non è sempre facile fare quello che si vuole.
Questa volta le foto e qualche considerazione sul viaggio saranno ... a posteriori.
Una specie di piccolo riassunto.
Ma, almeno, le fotografie le avrò potute mettere un pò più in ordine e ho potuto fare una cernita, una selezione, scegliendo quelle che mi sono piaciute di più.
E allora... partiamo.


If you're going to San Francisco
be sure to weare some flower in your hair...
Più o meno comincia così questa canzone/inno della città del ponte sull'oceano e delle colline che devi cavalcare con la cremagliera ansimante.
Io il fiore fra i capelli, si può ben immaginare, non l'ho potuto indossare.
Motivi, me lo hanno suggerito vivamente, di ordine domestico/familiare, si, ma anche di decenza; poi, forse, soprattutto, la ... densità della capigliatura non è più proprio adatta all'incorporazione di un fiore...
Si, ma lo spirito era quello.
Hippy.
Erano gli anni della rivolta.
Il '67.
Il '68.
Nelle immagini della canzone si intravedono gli hippies.
Per le strade di San Francisco non ci sono più, invece.
Al loro posto moltissimi homeless.
I senza-dimora.
Clochard.
Poveri.
Disperati.
Squilibrati e invalidi sociali...
Tanti.
Troppi forse per una città che fa parte allo Stato più potente e ricco del pianeta.
E non una città secondaria.
San Francisco.
La città che ospita, nei suoi circondari, le aziende più ricche del mondo, Google, Apple, Facebook, tutta la Sylicon Valley, le università più ricercate, Berkeley e Stanford, il centro spaziale che ci ha fatto sognare la conquista degli spazi astrali, Pasadena...
Si, disturba davvero tanta povertà.
Ma non per la ragione che sia una povertà troppo maleodorante, nè che sia motivo di ansia da turbamento dell'ordine pubblico, nè per la confusione multietnica che può generare più di qualche insicurezza sulla superiorità di una razza sull'altra...
No.
E' una povertà che disturba perchè è una piaga che alligna nel corpo sbagliato.
Altrove potrebbe essere più facilmente tollerata.
Lì, al centro del mondo progressista e capitalista contrasta, è come un ossimoro dell'economia di mercato: più mercato più poveri, più modernità più disperati, più social network più a-social networked...
Non lo so se la formula inglese, qua sopra, ha un vero significato.
Se lo ha, è questo: più macchinette interconnesse al presente continuo iperspaziale producono benessere e ricchezza per pochi, più sono gli esclusi dalla società messi insieme proprio al centro della società...
L'epicentro di un terremoto sociale che prima o poi farà le sue vittime.
Questo è sicuro.



Ma ora le fotografie.
Ecco.
San Francisco è una città bellissima.
O, almeno, a me è piaciuta molto.
Molto poco americana, forse.
Sul mare, sull'oceano, aggrappata al dorso di colli e colline che si alzano come cavalli imbizzarriti che scavezzano sbavando.
I tramvetti a cremagliera sferragliano e strobazzano.
I turisti ridono e fotografano.
I passanti, cittadini qualunque, scansano la calca sovrappensiero nei loro problemi quotidiani.
E' divertente.
Guardare chi gira per le strade, qui, è più divertente che altrove.
Tipi di ogni genere.
Io ne ho fotografato solo qualcuno.
Non sono un reporter, solo un turista distratto.
Da turista mi ha colpito molto il museo delle macchine meccaniche, i prototipi dei grandi videogiochi di oggi.
Macchine che nei decenni scorsi hanno fatto sorridere migliaia i migliaia di bambini di tutte le età.
Adesso un pazzo ne ha raccolto un gran numero sotto un capannone, stanno stipate lì, ancora funzionanti, si entra senza pagare un biglietto, si gioca con pochi centesimi, un quarto di dollaro, se ci vuole una sola monetina, mezzo dollaro se ce ne vogliono due.
Teatrini meccanici, fotografie tridimensionali, piccoli robottini a moneta, flipper, quelli che frizzavano di luci e tintinnii elettrici, senza elettronica ancora, bambolette ipnotizzate...
Una meraviglia in mezzo al molo attrezzato per l'America's Cup in pieno svolgimento.
Un riparo della ragione, o forse della nostalgia, dall'ansia magmatica dell'apparire a tutti i costi...
Pochi metri più in là le vele delle imbarcazioni più tecnologiche dei sette mari.
Sulle panchine tanti, sempre gli stessi, poveracci, senza casa, senza niente, senza neanche una vera vita.
E poi gli altri disperati, quelli più fortunati, i turisti, stanchi ed in cerca di un approdo momentaneo dal vorticoso turbinare dell'escursione metropolitana...

Ecco, queste sono le considerazioni.
Solo, prima di chiudere, una constatazione sul clima.
Noi abbiamo trovato il sole, caldo, di giorno.
Ma poco oltre i 20 gradi, sempre molto ventilato, mai umido e afoso.
E comunque, appena calata la sera ... lì era autunno pieno.
Ci voleva il giacchetto, il giubbottino.
Non ci siamo ammalati per poco!

mercoledì 28 agosto 2013

FOTO

Beh ci devo lavorare ancora...
Queste però sono le prime immagini caricate.
San Francisco.
Per ora solo le foto.
Poi, più avanti, il racconto, o i racconti.

San Francisco.
Che città è?
Strana.
Variegata.
Stracciatella.
Fragola.
Caffè.
Limone...

Una città piena di contrasti.
Bella ma anche amara.
Conturbante ma malinconica.
Femminile e maschile al tempo stesso.
Elegante e scabrosa.
Ricca e povera.
Molto di tutto  e molto di niente.
Mare e colline.
Azzurro e verde.

Uomini eleganti e poveri senza casa.
Liberi dai clichè e imprigionati negli stereotipi del capitalismo.
Poveri in canna e miliardari.
You and nothing.
All right and puah!
Villette e barboni.
Sbalestrati matti ed uomini d'affari.
Ipertcnologia e valigie di cartone.
Carrelli della spesa e sedie a rotelle.
Malati veri e malati di povertà.

Salite e discese...
Si, ecco.
Salite e discese.
Questa è la giusta definizione.
Non stupisce che negli anni '60 qui si sia aperta la stagione hippy.
Qui ancora i figli dei fiori hanno perduto i loro sogni per sempre.
E qui, invece, proprio qui vicino, nella Siycon Valley, tra Mountain View e Cupertino, il sogno tecnologico ha cambiato il nostro mondo per sempre.